
Il Vangelo di oggi inizia dicendo che Gesù si trovava in luogo a pregare. La cosa dovrebbe farci pensare: come è possibile che Gesù, che è Dio fatto uomo, abbia bisogno di pregare. Invece Gesù insegna a noi uomini che cosa significa essere uomini e qual è la nostra vocazione: cercare Dio.
Noi siamo cercatori di Dio: questo è il cammino della felicità.
E’ bello pensare che il Giubileo dei Giovani inizi proprio con questo Vangelo, che mette al centro la preghiera. Pensate, mette al centro la preghiera.
Quante volte abbiamo detto che la cappella dell’Adorazione è per noi il cuore della comunità, il suo cuore pulsante: perché lì è il luogo di preghiera.
Ora, perché è così importante pregare? Questa è la domanda che dovremmo farci.
Perché noi preghiamo? Perché il Signore ha bisogno di uomini che pregano? Perché il Signore, se è buono e sa le cose di cui abbiamo necessità, ha bisogno che noi gliele chiediamo ? Perché preghiamo? A che serve? Dio non può agire direttamente, senza la nostra preghiera? Qual è il senso di tutto questo?
Le risposte sono nella prima lettura.
Avete sentito il dialogo di Abramo con Dio? E’ quasi un combattimento. Abramo comincia a lottare per salvare la città di Sodoma, perché vi ha un familiare, che abita lì, con la sua famiglia. Ha paura per lui; come ciascuno di noi farebbe, lotta, per salvare la propria famiglia.
Inizia questo dialogo: E se a Sodoma ci sono cento buoni? La distruggeresti? Se ce ne sono cinquanta, dieci, due, e così via. È una lotta, ma è soprattutto un dialogo.
E forse questa è la prima indicazione per ognuno di noi.
Noi non dobbiamo credere in un Dio come fosse una entità lontana.
Noi crediamo nel Dio dell’amore. E il Dio dell’amore obbliga a una relazione. Non c’è amore senza relazione.
Quante volte abbiamo detto che non c’è amore senza concretezza? L’amore non è un semplice sentimento, non è un’idea o un ideale. Per essere reale, l’amore ha bisogno di concretezza, di carne, ha bisogno che io dimostri quest’amore.
La mia relazione con Dio è la stessa cosa. Quando la relazione con Dio è qualcosa solo di intellettuale o di morale, quando non c’è sangue, quando non c’è un dialogo, allora non c’è reale contatto . Allora diventa solo un’ideologia, una bandiera, diventa un parlare con me stesso. L’incontro con Dio mi obbliga a un dialogo, proprio come con l’educazione di un bambino, che ha bisogno dell’altro, per crescere.
E noi che siamo figli di Dio abbiamo bisogno del padre, di un dialogo, e dialogo significa anche ascolto. Non riempio le mie preghiere solo di parole, come tante volte si fa, pensando che così sarò ascoltato.
Sono io che devo ascoltare il Signore. La preghiera o il nostro Dio non sono come una macchinetta del caffè, dove metto le mie monetine e esigo che io venga esaudito; non sono io che devo esigere le cose, ma devo cercare la volontà di Dio su di me, e per questo devo ascoltare.
Le parole che devo dire io, sono quelle del grido della mia vita.
La mia vita grida al Signore, vuole esprimergli le mie sofferenze, il mio dolore, la mia gioia: la mia preghiera può rappresentare tutto ciò. Ma non devo riempirla di parole vuote o della mia volontà; la devo riempire semplicemente della mia vita, che offro al Signore chiedendogli : cosa vuoi che io ne faccia ? La vita è una vocazione, è una chiamata , ed è Dio che mi ha chiamato alla vita, è Dio che guida la mia vita, o dovrebbe guidarla. E la preghiera è questo.
Gli apostoli chiedono al Signore:” insegnaci a pregare”, ed è bello questo. Anche noi dovremmo chiedere:” Insegnaci a pregare”.
Il Signore allora dice, semplicemente, quello che ognuno di noi ha imparato nella sua vita: Padre.
Una relazione filiale. Anzi, sappiamo che la traduzione di “Abbà” non è solo “padre”, perché noi non osavamo dirlo, ma il Signore ha insegnato a dire ai suoi figli : “ papà”. Quindi è veramente un dialogo filiale.
Padre, Abbà, sia santificato il tuo nome, non il mio. Non sono io al centro, è il Signore al centro della mia vita.
Venga il tuo regno. Non voglio regnare io, non voglio mettermi al centro.
Dacci il pane quotidiano. Ma quel pane quotidiano non è solo, lo sappiamo, il mangiare. E’ l’Eucarestia, è un pane che dobbiamo condividere. Di cosa ha fame questa società? Non tanto di pane, quello concreto, ma ha bisogno di Dio, della Sua parola, della Sua presenza.
Questo noi chiediamo.
Poi chiediamo il perdono. Lo chiediamo perché tante volte non mettiamo il Signore al centro.
Il Signore ci consegna, all’inizio di questo Giubileo dei giovani, questo messaggio : mettere al centro la preghiera, il dialogo. Desideriamo una relazione . Non vogliamo essere soli. Il Signore è da sempre insieme a noi e insieme ai nostri fratelli.
Sappiamo quanta sofferenza, quanta solitudine c’è in questo mondo, nelle nostre società europee. Ma non siamo soli. Dobbiamo cercare Dio sempre, sempre.
Chiediamogli che ci metta dentro il cuore, il gusto del dialogo con Lui, il gusto di questa ricerca continua.
Vedete come conclude il Vangelo di oggi: “Chiedete e vi sarà dato. Cercate e troverete. Bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede, riceve, chi cerca, trova. A chi bussa, sarà aperto.” La relazione richiede perseveranza.
Non sempre le cose, le relazioni vanno come vogliamo. Alcune volte ci arrabbiamo con una persona, altre volte non vogliamo parlare e altre ancora ci isoliamo. Il Signore ci chiede, nella relazione con Lui, di continuare a bussare, di continuare a cercare. Perché troveremo e tutta la nostra vita è una ricerca di Dio. Desideriamo questo per noi e per gli altri, per tutti i giovani qui presenti, che invaderanno Roma, nei prossimi giorni e settimane. Chiediamo che il Signore possa toccare il loro cuore, che tornino nei loro paesi con la voglia di cercare ancora Dio, in tutta la loro vita.
Perché solo così il mondo cambierà. Solo così potremmo anche noi cambiare questo mondo. Amen.
