Come vi dicevo all’inizio, oggi è una festa particolare: quella dell’esaltazione della Santa Croce. Se non ci siete mai stati, andate a Santa Croce di Gerusalemme, nella Basilica che abbiamo qui a Roma. Si dice “Gerusalemme” perché non solo la croce, ma anche della terra di Gerusalemme, sono state portate lì, dalla mamma dell’Imperatore Costantino, Santa Elena .
Quindi la chiesa è stata costruita su quella terra. Se voi scendete sotto la chiesa, dove c’è una tabella , vedrete che il pavimento non è fermo. Si può togliere, per poter toccare la terra di Gerusalemme, proprio quella dove è stata trovata la Santa Croce.
Ma torniamo a noi. Oggi festeggiamo, quindi, questa festa strana, se pensiamo che stiamo festeggiando un elemento di tortura, perché sulla croce si condannava la gente a morire. Ed è strano che noi esaltiamo proprio questo pezzo di legno, che ha fatto morire nostro Signore. Ma cercheremo di capire, attraverso la parola di oggi, perché noi festeggiamo la Croce.
La parola di oggi inizia con un vecchio libro della Bibbia. Uno dei primi, il libro dei Numeri, in cui si racconta che il popolo di Israele camminava nel deserto verso la terra promessa. Sono stati liberati da Mosè dalla terra d’Egitto, dove erano schiavi e stanno camminando liberi verso il loro nuovo paese. Il problema è che hanno fame, hanno sete, si sono annoiati di camminare e cominciano a lamentarsi. Questo lamento non vi fa pensare a qualcuno? Pensiamo a noi, che camminiamo verso il Paradiso e siamo lì sempre a lamentarci. Pensiamo a noi, che crediamo di essere liberi e invece tante volte torniamo a voler essere schiavi. Pensiamo a noi, che siamo stati liberati con il Battesimo e ci dimentichiamo di questa vita nuova, che abbiamo ricevuto in Cristo. Io non vedo tanta differenza tra quel popolo e noi. Anche noi siamo un po’ duri di cervice, come dice la parola. Anche noi facciamo fatica a riconoscere che siamo uomini liberi e portatori di una nuova vita. E anche noi ci lamentiamo. In questo episodio della Bibbia, allora il Signore, stanco di sentire il popolo lamentarsi, butta serpenti brucianti, i quali mordevano la gente a gran numero e gli israeliti morivano.
Allora, il popolo disse ad Abramo:” Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti.”
Anche questo ci fa pensare molto a noi. Quando tutto va bene, ci dimentichiamo del Signore. Quando, invece, abbiamo bisogno, siamo lì a chiedere le preghiere:” Don Stefano prega per il mio esame. Don Stefano prega che questo vada bene.” Quando le cose non vanno, ritorniamo alla preghiera. E’ proprio come il popolo di Mosè.
Ma cosa succede in quel caso? Viene detto a Mosè questa cosa qui: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita. “
Allora Mosè prese un’asta e vi fece un serpente di bronzo e chi lo guardava era salvato.
Perché questa parola è messa qui? Perché Gesù riprende esattamente questa cosa. E dice: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” .Gesù riprende la parola di Dio.
Cosa succede con gli israeliti? Devono guardare il serpente di bronzo innalzato. Devono lasciar perdere i loro problemi per dare fiducia a Dio, guardando quella cosa lì. Perché il problema nostro, da sempre, da Adamo e Eva, è che noi facciamo fatica a dare fiducia a Dio.
Il Signore ci chiede di guardare. E oggi siamo invitati a guardare la croce. Sapete benissimo che il Crocifisso è il segno dei Cristiani.
La croce, il crocifisso. Qualcuno dice:” ma perché Gesù Cristo sopra? Cristo è risorto! potevamo avere come segno una croce vuota.” E no. Questo è il segno dei Cristiani: il crocifisso e Cristo sulla croce. Il segno immenso dell’amore di Dio per noi è questo: Gesù ha dato la vita e ci ha insegnato cosa significa amare. E noi dobbiamo guardare a Lui per capire, primo, quanto siamo amati, secondo, come dobbiamo amare. Prima di tutto, quanto siamo amati, perché tutto quello che facciamo, deve partire da Lui. Noi siamo figli di Dio. Noi siamo figli del Figlio. Noi ci sentiamo amati da un Dio che è padre. Noi non siamo schiavi o servi. Noi siamo amati come figli. E lo dobbiamo sentire, in questo abbraccio del Signore. E ogni volta che guardiamo la croce, con queste braccia spalancate, ci dobbiamo sentire abbracciati da Lui.
Voi sapete che la piazza di San Pietro è stata voluta così, per questo motivo, per dare il senso della Chiesa che abbraccia. Dobbiamo sentire ciò, ogni volta che veniamo qua, ogni volta che ci fermiamo davanti al crocifisso, ogni volta che ci mettiamo in preghiera, che desideriamo incontrare Cristo, dobbiamo sentire il suo abbraccio, il suo amore per noi. Noi partiamo da qui. Questa è la fonte del nostro cammino cristiano: l’essere amato. Tutta la nostra vita è una scoperta di quell’amore. Io cammino nella vita, perché so di essere amato. Io amo la vita perché so di essere amato, è Lui che mi ha insegnato ad amare. Non con le mie forze, le mie piccole forze. Tutto parte da Cristo. Noi ci chiamiamo cristiani, perché vogliamo imitare Cristo, che ci insegna a dare la vita per gli altri. Il cristiano ama. Il cristiano è rivoluzionario,ma non con le bandiere rosse, ma dando la vita per l’altro. Questo è il vero rivoluzionario, che rivoluziona con il cuore, con l’amore. Questo è quello che cambia il mondo: l’amore, non le armi, non la violenza, non le parole, ma i gesti, l’amore. E finché non scopriamo quest’amore, non possiamo manifestarlo, non possiamo raccontarlo. La nostra missione è portare l’amore di Cristo. Non il nostro. Non la nostra forza, non la nostra intelligenza: niente di tutto questo. Noi cerchiamo l’amore, ma umilmente, riempiti di Lui.
Ecco perché poi, nella seconda lettura, c’è questo brano straordinario di San Paolo ai Filippesi :” Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio
l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.”
Il cammino dei cristiani è un cammino di svuotamento di sé, per essere uniti in Lui. Ricordate l’esempio di San Paolo:” Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me.”
È difficile dire questa cosa. Ma quanto sarebbe bello poterla dire sul nostro letto di morte: “Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me.”
Cari amici, è bellissimo pensare che all’inizio dell’anno pastorale festeggiamo la croce, festeggiamo il segno dell’amore di Dio, festeggiamo la sorgente della nostra vita cristiana.
Così partiamo con un piede nuovo, quello dell’unità, che è molto difficile per noi, che siamo così orgogliosi di noi stessi. Il Signore ci ricorda, all’inizio dell’anno, che l’umiltà è la base del nostro cammino, che questo cammino, che noi abbiamo scelto, di seguire Cristo, dovrà passare dalla croce. Ciascuno di noi passerà per la croce. Ognuno di noi ha una croce diversa, ma tutti abbiamo una stessa lotta: dobbiamo lottare contro noi stessi, contro l’uomo vecchio . Dovremmo passare da lì, da questo svuotamento, da questa umiltà grande, per poter essere abitati da Lui e riprendere un cammino, che è un cammino di felicità e di gioia, perché è un cammino d’amore, un amore donato. E più doniamo, più saremo felici.
Questa è non solo teoria, questa è pratica, lo sappiamo tutti. Tutti l’abbiamo visto sulla nostra pelle. Ogni volta che ci siamo rinchiusi su noi stessi, siamo usciti da lì vuoti, non avevamo niente. Ogni volta che abbiamo donato, che non ci siamo risparmiati, siamo andati via felici, gioiosi, contenti e pieni, pieni di quell’amore di cui abbiamo bisogno per vivere. Chiediamo allora al Signore, ancora una volta, di aprire questo cuore alla sua presenza amorosa nella nostra vita. Chiediamo al Signore di farci scoprire ogni giorno di più questo suo grande amore.
Chiediamo al Signore di accompagnarci e farci vivere concretamente, con i nostri fratelli, l’amore, che Lui ha riversato nei nostri cuori. Amen.
