Omelia di Don Stefano Cascio
Il Signore ci parla sempre con delle parabole, quindi ci racconta una storia, ma questa storia parla anche di noi e della nostra vita. Cerchiamo insieme di capire quello che il Signore ha voluto dirci questa mattina.
Abbiamo ascoltato la storia di un re: suo figlio si deve sposare e quindi si fa una festa. Il re manda i suoi servi a invitare delle persone, ma queste trovano scuse, hanno sempre qualcosa da fare; quindi, non vanno alla festa; anzi alcuni di loro addirittura uccidono i servi.
Con questa immagine Gesù racconta la storia di Israele, il popolo chiamato, che ucciderà l’inviato, Gesù. E allora cosa succede? Viene invitato un nuovo popolo, il nuovo popolo di Israele, che sono i cristiani, i nuovi invitati.
Ma questa non è solo una storia del passato, perché, come vi ho detto, queste storie sono per la nostra vita, la mia, la tua, quella di ciascuno di noi.
E cosa ci racconta questa storia? Ci dice che tante volte siamo invitati, ma troviamo delle scuse.
Lo vediamo qua: la nostra parrocchia – non si è mai capito quanti siamo esattamente – comprenderà una decina di migliaia di persone. Dove sono queste persone? Hanno delle scuse, hanno qualcos’altro da fare, una partita di calcio, di basket… troviamo scuse un po’ come questi invitati a nozze.
Perché non vengono?
Anche noi siamo invitati: questo è il banchetto celeste, questo è quello che ci aspetta con l’Eucaristia che ci viene offerta.
Andiamo avanti e cerchiamo di vedere anche che cos’altro ci dice questa storia: a questa festa di nozze, alla fine, la gente partecipa. C’è un uomo che non è vestito con l’abito di nozze. Il re, che sta passeggiando, lo vede e lo fa buttar fuori.
All’epoca, nelle feste, veniva dato una sorta di mantello elegante da indossare; quindi, quest’uomo è andato alla festa, ma ha rifiutato di indossare l’abito delle nozze. L’ha rifiutato, non dobbiamo pensare che fosse povero e non ce l’avesse perché era stato preso in mezzo alla strada, come a una prima lettura qualcuno potrebbe credere. No, lui è arrivato alla festa, ma, quando gli hanno voluto dare l’abito, lui l’ha rifiutato.
Questa cosa succede anche a noi: a noi non viene dato un abito nuziale nel senso di un vestito, ma ci viene data la speranza cristiana, ci viene dato l’amore.
Dal momento del nostro battesimo abbiamo ricevuto l’amore di Dio, siamo diventati figli di Dio, abbiamo ricevuto un amore immeritato.
Non è per i nostri meriti che voi e io siamo qui in questa chiesa, non siamo migliori degli altri, attenti, non crediate che voi siete migliori e che per questo siete qui. No, non siete migliori degli altri, lo posso dire perché sto in confessionale e ogni volta lo sento, ma soprattutto vedo le gelosie e le tensioni all’interno stesso della nostra comunità parrocchiale.
La nostra comunità non è migliore delle altre e noi non siamo migliori delle persone fuori. Noi siamo radunati qui perché siamo stati invitati alle nozze, abbiamo accettato questo amore e lo vogliamo vivere.
Ma tante volte noi rifiutiamo questo dono gratuito, tante volte anche noi non vogliamo l’abito nuziale, perché è difficile accettare un dono immeritato. È tanto difficile donare, ma, tante volte, è anche difficile accettare qualche cosa di cui non ci si sente degni. E allora si dice “no non sono degno”. Vi ricordate di quando Gesù vuole lavare i piedi di Pietro e Pietro rifiuta? Ecco noi siamo spesso così, non ci sentiamo degni e quindi rifiutiamo questo dono un dono immeritato.
Ma quest’abito nuziale potrebbe anche rappresentare la gioia che dovrebbe vivere nel nostro cuore, la voglia di evangelizzare e di portare questo amore.
Anche in questo caso, la nostra comunità dove sta? Dove sono questi cristiani gioiosi e felici di portare la fratellanza? Io mi ritrovo a volte con dei collaboratori stanchi, che non hanno voglia, a cui tutto pesa.
Perché tutto pesa? Perché Gesù non è al centro.
Perché se fosse al centro, avremmo voglia di donarlo. Tanta gente, invece, non ha nemmeno voglia di donare: dove sono nelle nostre comunità le persone che si mettono a servizio?
Pensiamo sempre che qualcun altro farà il lavoro, ma noi, se abbiamo voglia di mettere Gesù al centro della nostra vita, dobbiamo avere voglia di donarlo, dobbiamo vivere per questo, e questo cambia le cose.
Una settimana fa sono stato a una conferenza proprio sull’evangelizzazione: era bello vedere persone che avevano voglia di donare. Questo manca nella nostra Chiesa. I nostri Vescovi sono riuniti in Sinodo, ma tante volte mi rattrista vedere che pensiamo più alle strutture che al senso della vita cristiana.
E il senso è Lui che ce lo dà.
Oggi noi ringraziamo il Signore che ci ha dato tre bambini che devono ricevere la prima comunione.
Che cosa riceveranno questi bambini? L’abbiamo detto all’inizio: il corpo di Cristo.
Questo corpo di Cristo è uno solo, che poi viene spezzato per noi.
Normalmente dovremmo avere un solo pane che viene spezzato e dato a ciascuno. Ovviamente era complicato e quindi abbiamo inventato le ostie, ma il sacerdote spezza il pane durante la messa e, se voi guardate con attenzione, io sono abituato a mettere i pezzettini (spesso sono almeno due) nelle due pissidi che abbiamo sull’altare: li metto uno in ciascuna pisside proprio per dare un senso a questa condivisione dell’unico pane.
Questi bambini ci ricordano che noi siamo chiamati alla comunione, ma non alla comunione tra di noi, alla comunione con Cristo: è lui che ci unisce, è questo che è importante, è questo che stiamo celebrando con questi bambini.
Allora ringraziamo il Signore perché la loro presenza, la loro gioia di ricevere la comunione: loro ci ricordano il grande dono che abbiamo. Ci avviciniamo anche noi al banchetto, anche noi siamo questi ospiti, immeritati, cattivi e buoni.
Vorrei concludere ricordando che il re va in mezzo agli ospiti, non rimane sul trono.
Dio fa così: viene in mezzo alla nostra vita e lo fa discretamente, perché Dio è una persona molto elegante, delicata, non si impone mai nelle nostre vite, si propone. Dio sta là e tu tante volte non lo vedi, non lo senti, ma sta là. Devi essere un po’ più attento è questo l’altro invito di oggi: stare attenti a questo Dio che passa nella nostra vita.
Voglio concludere con le parole della prima lettura:
Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza (Is 25, 9)
E questa gioia che i bambini avranno nel cuore è quella che anche noi dobbiamo vivere oggi.
Dobbiamo riscoprire quanto è bello riunirci attorno al Signore quanto è bello portare questa gioia in giro: questo quartiere ne ha bisogno.
Martedì scorso abbiamo fatto i funerali di un ragazzo di 24 anni morto per droga. È incredibilmente triste pensare che un ragazzo possa darsi alla morte così. Era già morto dentro, perché noi non portiamo la gioia di Cristo, perché noi non portiamo la gioia di vivere.
La vita è bella con Lui, la vita è bella e noi la dobbiamo vivere intensamente.
E vivere intensamente è proprio vivere con Lui, perché noi che siamo cristiani crediamo che solo Lui dà senso alla nostra vita.
Non portiamo qui questi bambini solo per fargli fare una bella prima comunione e poi finisce così, no.
Noi li portiamo a cibarsi di Cristo, che è il solo senso della nostra vita, noi ci crediamo perché li abbiamo battezzati in Cristo, perché questa è la vita nuova che noi vogliamo per loro.
Ed è questo che deve abitare il cuore di ciascuno di noi e dei genitori che portano i loro figli al catechismo: questo deve essere nel nostro cuore ed è questo che noi vogliamo far vivere a loro. Altrimenti è tutto un racconto, una bella storia.
Facciamo i buoni cristiani, ma noi non dobbiamo essere buoni! Non è questo che dobbiamo fare, essere buoni è solo morale, sono solo valori, invece il cristianesimo è vita!
E in Pakistan c’è gente che dà la vita per questo, per Cristo crocifisso, danno la vita. Oggi, nel 2023, c’è gente che muore per Cristo. È questo che dovrebbe abitare nel vostro cuore. Forse un giorno anche noi saremo chiamati alla stessa cosa. Vedete nel mio paese, in Francia, c’è stato un nuovo attentato, perché noi cristiani rappresentiamo qualcosa di grande e di bello, e lo dobbiamo far sentire, è importante! È questo che vogliamo dare ai nostri figli, ed è una vocazione grande, una vocazione bella, e deve essere veramente una passione per ognuno di noi: questo è l’abito nuziale.
Io sono stanco di vedere delle comunità che stanno lì sempre a piangere. No, noi siamo chiamati a donare, questa è la nostra vita. Lui si è donato, si è donato fino in fondo, e chiama ciascuno di noi a donarsi. Se non vogliamo donare nessuno ci obbliga, però non veniamo qui a piangere, qui veniamo per donare. Questa è la nostra vocazione ed è questo che vogliamo donare ai nostri figli.
Amen