28 luglio 2019

Gen 18,20-32 – Sal 113 – Col 2,12-14 – Lc 11,1-13

Mi fa sempre ridere questo Vangelo perché mi ricorda un episodio che mi è capitato quando ero in seminario: avevo sempre qualche problema con i miei superiori. Avevamo un educatore in ogni corridoio, e una volta che ero assente nella mia stanza, ero a un corso di latino, tornando ho trovato sulla mia porta un foglio con scritto: “Dove sei?”, e poi un altro foglietto con l’orario in cui l’educatore era ripassato e c’era scritto: “Non ti trovo”. Allora avevo preso un foglietto anche io, come lui, e l’avevo messo sulla sua porta, e ci avevo scritto: “Chi cerca trova”. Quindi ogni volta che leggo questo Vangelo penso a questo episodio.

Non è stato facile, per me, il seminario, e io non ho reso facile la vita dei miei superiori.

Come vi ho detto tante volte in altri momenti, per capire come leggere il Vangelo – perché il Vangelo si può leggere in tanti modi – la Chiesa ci aiuta con la liturgia della Parola attraverso la prima lettura.

Nella prima lettura vediamo un dialogo tra Abramo e Dio. Se leggiamo superficialmente questa prima lettura ci sembra che sia un combattimento tra Abramo e Dio, in cui come nel business Abramo contratta: “Ma se ce ne sono solo 50, se ce ne sono 30, se ce ne sono 20”… potrebbe essere così a prima vista.

Invece cosa succede?

E’ Abramo che sta scoprendo chi è Dio, la sua bontà, il suo cuore aperto, questa generosità, questa misericordia di Dio che è sempre più grande, più va avanti e più questa misericordia si scopre. Nella preghiera scopriamo Dio, e questa è la cosa fondamentale.

Allora, leggendo il Vangelo, potremmo dire: “Perché devo andare a bussare dal Signore? Il Signore sa di cosa ho bisogno, perché devo andare a bussare, a chiedere, a richiedere?”

Vedete, per riprendere quello che dicevo prima: quello che importa è il dialogo, è la conoscenza.

Tante volte noi ci rapportiamo a Dio come con la macchinetta del caffè, io metto la mia monetina e mi esce fuori quello di cui ho bisogno, o almeno questa è la mia concezione, ma poi ci rendiamo conto che a forza di bussare non esce nulla.

Ma poi ci giriamo, guardiamo indietro alla nostra vita e ci rendiamo conto che il Signore tante volte ha parlato, ci ha risposto, non nel modo che noi ci aspettavamo, perché lui ci conosce meglio di noi stessi.

Ma la cosa bella di questo Vangelo è che i discepoli, vedendo Gesù pregare, gli chiedono: “Signore, insegnaci a pregare!”. E la risposta del Signore è il Padre Nostro, cioè è dire: “Abbà, Padre, Papà!”.

Quindi questa relazione con Dio è una relazione intima, ed è per questo che all’inizio della Messa chiediamo scusa al Signore se non riusciamo a creare questa intimità, se tante volte lo lasciamo un po’ lontano da noi. Perché lui ricerca proprio questo: l’intimità con noi.

Noi lo traduciamo “Padre” ed è un po’ freddo, ma Gesù ha detto: “Abbà”, cioè “Papà”.

Pensate all’intimità che c’è: già è grande pensare a Dio come un Padre, nessun altra religione lo fa questo, ma Dio non viene chiamato solo “Padre”, ma “Papà” quindi è una relazione proprio intima.

E se io non stabilisco questa relazione così intima, vuol dire che devo ancora camminare, che ancora non mi sono convertito, che ancora non ho aperto il mio cuore a questa presenza paterna, che ancora non mi sento figlio.

Ed è questo il peccato originale: la mancanza di fiducia.

Se io chiedo ai ragazzi chi sono le persone di cui hanno più fiducia, certamente mi rispondono che sono i loro genitori.

E noi abbiamo perso questa fiducia in Dio, ed è questo che dobbiamo ritrovare. Sappiamo benissimo che in una coppia, anche pochissima fiducia in meno distrugge tutto, perché la perdita di anche pochissima fiducia fa uscire fuori tutti i dubbi.

Noi crescendo dubitiamo sempre di più. Basta guardare la fiducia che un bambino può avere con il Signore. Basta vedere un disabile, quanta intimità può avere con il Signore. Quanto invece noi crediamo di essere bravi e forti, ma il nostro razionalismo assoluto ci fa dubitare sempre più.

E’ bene farsi le domande, è bene cercare le risposte, ma dobbiamo cercarle in questa intimità con il Signore.

Allora in questa Messa, in questo inizio di campo, chiediamo al Signore che possa essere anche un grande momento di spiritualità, che possa essere anche un momento in cui mi riavvicino al Signore.

Attraverso le confessioni mi capita di sentire che il problema di alcuni è che si sono un po’ distaccati da questa intimità col Signore, dalla preghiera e dalla Messa. Quindi il campo deve cercare di riavvicinarci, deve cercare di farci aprire questo cuore a questa presenza paterna del Signore che vuole creare con ciascuno di noi una relazione intima, una relazione d’amore.

Amen.

 

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