13 settembre 2020 XXIV domenica del tempo ordinario

La misura del perdono

Il Signore oggi ci vuole provocare! Come e sempre provocante la parola di Dio. Ricordate che tante volte l’ho detto: quando la parola di Dio non ci colpisce, significa che qualcosa non va. Noi siamo un po’ come quando la terra è così secca che l’acqua non entra neanche, e passa. Così tante volte fa la Parola con noi: passa e va, senza entrare dentro di noi.

Oggi questa parola è provocante! Provocante, perché  il Signore  ci dice: no, non devi perdonare sette volte, ma settanta volte sette!  Ovviamente significa un perdono senza limiti, ed è questo che è provocante per noi. E forse lo e ancora di più in questi giorni. Ieri c’è stato il funerale di questo ragazzo, Willy. Certamente sono stato colpito come tutti voi dalla violenza di questi ragazzi. Un’altra cosa mi ha colpito molto: sono i commenti della gente, i commenti contro di loro, ragazzi che certo non giustifico, ma per me non c’è  la rabbia o il rancore, ma una grande pietà, una grande tristezza nel vederli. Ricordate quello che ci dice il libro del Siracide nella prima lettura: “Rancore e ira sono cose orribili e il peccatore le porta dentro”.

Cosa rappresentano questi ragazzi da una parte e questo ragazzo dall’altra? Due culture diverse. Da una parte Willy ha dato la vita per un suo amico: esattamente quello che insegna Gesù,  dare la vita per gli amici. Ovviamente, poverino, non l’ha scelto, piuttosto ha  scelto di aiutarlo e questo l’ha portato fino alla morte. Da un’altra parte abbiamo questi ragazzi, ragazzi che potrebbero essere quelli che troviamo nel nostro quartiere, ragazzi che potremmo trovare anche qui a giocare a calcio nel nostro campetto di basket ogni pomeriggio, quelli sulla piazzetta; ragazzi con il corpo perfetto pieno di tatuaggi, il cui ideale è essere di moda come chi in quel periodo lo è e quindi mi faccio i tatuaggi come lui, mi faccio vedere sui social come lui, e vado avanti così. Due culture diverse e questo ci pone un problema a noi genitori, ci pone un problema a noi educatori : cosa stiamo dando ai nostri figli?

I nostri nonni e bisnonni ai bambini leggevano la storia dei santi. Il modello era la santità. Oggi quali sono i modelli che stiamo dando a questa gioventù? Il loro sguardo è verso l’alto? Stanno cercando qualcosa di alto, di bello? Io ho l’impressione che non cercano più niente. Molti non hanno passione, molti non sanno neanche cosa devono fare domani. Molti iniziano un percorso, poi un altro, poi un altro, non sanno dove andare. Il problema non è tanto loro, siamo noi. Non abbiam capito cosa significa educare un figlio. Non abbiam capito cosa significa farlo crescere. Siamo rimasti a livello così superficiale che non abbiam mai capito  che ci sono delle domande fondamentali che ognuno di noi si pone e cui deve cercare una risposta: da dove vengo, dove vado, qual è  il senso della mia vita? C’è bisogno, nel bambino, nel ragazzo, di spingerlo verso queste domande, di andare a cercare le radici di quello che siamo, di dove andiamo. Invece li abbiamo abbandonati. Li abbiamo abbandonati perché a un certo momento ci è stato detto: devono costruirsi da soli! E da soli con che cosa, se non gli è stato dato niente? Dov’è l’orizzonte  di questi ragazzi? Qual è l’orizzonte, se i genitori stessi non lo sanno? Se non gli hanno neanche mostrato un cammino? E questo è responsabilità  di ciascuno di noi: genitori, docenti, educatori, pastori, tutti noi abbiamo fallito! Tutti noi dobbiamo creare un vero patto educativo perché  solo questo ci permetterà di andare avanti. Il perdono di cui parla il Signore è un perdono per il futuro, per liberare il futuro!

Ho letto in questi giorni una frase molto bella: La misura del perdono è il perdono senza misura. Tu questo non lo fai per l’altro, lo fai per costruire il futuro!

Ovviamente non sto dicendo che questi ragazzi non dovranno andare in carcere, non dovranno cercare di cambiare, ma il problema è più grande! È come noi viviamo questo mondo, pieni di rancore di lotta, di durezza, di cattiveria. Il lockdown doveva cambiare tutti, ma non ha cambiato proprio niente, come non ha cambiato il ventesimo secolo, con quello che è successo di drammi. La conversione è, prima di tutto, la nostra! Non andiamo a guardare l’altro, è la nostra conversione!

Allora il Signore oggi ci provoca, sì, ci provoca fortemente, ci fa interrogare sul modello di società che vogliamo. Gesù Cristo è venuto a presentarcela lui! Ma noi siamo di testa dura, facciamo fatica a riconoscere il bisogno di conversione del nostro cuore!

Facciamo fatica a riconoscere che l’unico cammino è quello che Cristo  ci ha insegnato e mostrato con la sua vita e con le sue parole. La nuova umanità  è lui che ce la mostra! E noi che siamo qui, che siamo cristiani, che siamo battezzati abbiamo ricevuto questa nuova vita e ce la dimentichiamo, dobbiamo riprendere dal nostro Battesimo. Se noi prendiamo coscienza di quello che siamo, allora sapremo dire ai nostri figli cosa è il bello, cosa è il buono, cosa è il vero. Perché  queste dovrebbero essere le tre parole su cui l’educazione dei nostri figli dovrebbe essere costruita.

Allora chiediamo al Signore ancora una volta di convertire il nostro cuore, perché  non ne abbiamo bisogno solo per noi, ma ne hanno bisogno le generazioni future. Solo così potremo cambiare il mondo!

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