27 marzo 2022 IV domenica di Quaresima

E a me non hai dato nemmeno un capretto

Abbiamo tre personaggi in questo Vangelo: un padre che ha due figli. Uno, il più giovane,  a un certo momento chiede la sua parte di patrimonio, cioè la sua eredità, e se me va. Se ne va, e comincia a spendere tutti i suoi soldi.  Finiti i soldi cosa può fare? Cerca un lavoro e lo mettono a pascolare i porci. Uno che lavora  con i porci era detto impuro!  Quello è  l’animale che gli ebrei non mangiano, era considerato proprio impuro. E quegli animali mangiavano più di lui! Avrebbe voluto saziarsi con le loro carrube, ma non poteva averne.

A un certo punto questo figlio comincia a pensare e a dire: “Ma io vorrei tornare a casa perché lì almeno i servi di mio padre hanno qualcosa da mangiare!” . E cosi decide. Tornando pensa: “Io, quando torno, dirò a mio padre: non sono più degno di essere un figlio! Gli dirò: trattami come un servo“.

Ma il padre, vedendo il figlio da lontano, gli corre incontro, lo abbraccia. Il figlio gli dice quella frase che aveva preparato: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te! Non sono più degno di esse re tuo figlio!”. Qual è la risposta del padre? Lo punisce? No. Subito chiama i servi, lo fa vestire con i vestiti belli della festa, gli fa rimettere l’anello, che era l’anello di famiglia, mostrando così quanto lo consideri un figlio e gli fa preparare una grande festa.

Ma veniamo all’altro figlio, il figlio maggiore.  Cosa sta facendo? Lavora nei campi, come sempre, tutto il giorno. “Che cosa succede?”, sente la musica e non vuole entrare. Il papà è costretto a uscire per parlare con lui, gli dice di entrare, ma lui: “No, tu non mi hai mai dato nemmeno un capretto per far festa con i miei amici! Invece torna questo tuo figlio, che ha sperperato tutti i soldi, e gli fai  festa!”.

Aveva ragione secondo voi quei fratello? Questa è la grande problematica di questo Vangelo: è giusto o non è giusto quel che sta succedendo?  Lui è sempre stato bravo, ha sempre ubbidito e sembrerebbe che il padre non gli abbia mai proposto di far festa, mentre a questo figlio che ha sperperato tutti i suoi soldi, quando torna, il padre felice gli fa festa. È una cosa strana questa qui.

Cerchiamo di capire, allora, che cosa significa questo Vangelo,  un Vangelo che per tanto tempo anche per me è stato difficile da capire.  Ed è  solo diventando padre, diventando pastore, che capisco meglio questa cosa; e cercherò di farla capire. E questo Vangelo parla anche al cuore delle mamme e dei papà che sono qui.

Un papà, una mamma vuole il bene del suo figlio. E, se il figlio sbaglia, e poi torna, non è tanto importante quello sbaglio, è  importante che quel bambino, quel ragazzo, quel figlio o quella figlia sia tornato, che le cose siano andate bene e sia di nuovo tornato.

Quel figlio lì della parabola, non è tornato perché ha capito di aver sbagliato! È tornato semplicemente perché aveva fame, ma è  tornato! E per il padre questa è la cosa più importante. Cosa succede con l’altro figlio? L’altro figlio è un figlio obbediente, ma, secondo voi, ha un vero legame con suo pare, un legame filiale? A me sembra un legame da schiavo, da servo. Lui considera il padre come un padrone. Dice che obbedisce ai suoi comandi. Non vuole fare festa con il padre, vorrebbe fare festa con i suoi amici, uguali a lui, non c’è  correlazione tra figlio e padre.

Ora, ricordatevi bene del perché Gesù racconta questa storia. Gesù non la sta raccontando a quei peccatori e pubblicani che erano venuti ad ascoltarlo, Gesù la sta raccontando a quei farisei che lo criticavano: ai farisei, cioè a uomini che seguivano le regole molto precisamente, ma pensavano che sarebbero stati salvi, perfetti  solo  seguendo questa o quella regola, ma il loro cuore era chiuso. E infatti giudicavano quei peccatori e pubblicani; e si sentivano proprio come il figlio maggiore.

Questa parabola  spesso viene chiamata la parabola del figliol prodigo, perché ci si concentra su questo fratello che ha sperperato tutti i soldi. Oppure si cita come la parabola del padre misericordioso,  che ti accoglie, senza guardare quello che hai fatto. Ma la vera visione di questa parabola è quella del figlio maggiore, perché Gesù  sta parlando a quelli che si sentono perfetti. Forse un po’ sta parlando a noi, che veniamo a messa la domenica, qualcuno tutti i giorni, che facciamo tutto quello che dobbiamo fare e pensiamo che questa sia la nostra chiave per il paradiso; che così abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare.

Cosa manca a questo figlio maggiore? Manca di riconoscere il padre come un padre. Manca questo legame filiale. E questo a volte può mancare in noi. Anche noi possiamo vedere questo Dio più come un capo che come un  Padre. Ora Gesù è venuto a insegnarci che Dio è Padre. L’unica preghiera che ha insegnata a noi è  stata il Padre nostro! Ed è  questo che noi dobbiamo scoprire nel nostro cammino di fede: questa figliolanza, che noi siamo amati al di là  di tutto! Al di là dei nostri difetti, delle nostre problematiche,  dei nostri limiti, noi siamo amati da un Dio che è Padre.

Questo non vuol dire che non dobbiamo andare a messa, non dobbiamo seguire, non è  questo. Ma non non dobbiamo andarci perché lo devo fare,  lo faccio perché mi sento amato, perché voglio sentire la sua parola, perché voglio ricevere l’Eucaristia, perché voglio pregare con i miei fratelli. Io lo faccio perché mi sento in una famiglia,  che è la comunità cristiana,  la famiglia di Dio.  È  questo che le nostre parrocchie devono sempre di più  sentire: il senso di famiglia, di comunità! È  questo che manca oggi in tante nostre chiese: il sentimento di essere figli,  figli amati.

Allora, il cammino di Quaresima è un cammino  in cui io cerco di convertire questo cuore, di aprirlo; che non sia un  cuore di pietra, come tante volte lo è,  un cuore   chiuso. Questo è  il cammino che mi è  chiesto di fare.

Vedete che sono in rosa? Perché in Avvento e in Quaresima c’è una domenica  che è la “domenica laetare”, cioè la domenica della gioia, in cui ci ricordiamo a cosa siamo chiamati. E allora è  bello oggi avere questo Vangelo per ricordarci che siamo figli, che siamo chiamati a sentire questo. E, se non lo sentiamo, dobbiamo camminare ancora! Nella vita abbiamo bisogno sempre di convertirci,  mai siamo arrivati! Né a novant’anni, né a ottanta, settanta, cinquanta, trenta, dieci anni! Sempre abbiamo bisogno di convertire il nostro cuore, di aprirlo sempre di più.

Allora oggi mettiamo su questo altare questa volontà: di sentire sempre di più che siamo dei figli. Amen  

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