25 settembre 2022 XXVI domenica

Il grande nemico della fede è il nostro narcisismo.

In questo Vangelo Gesù racconta una storia, i cui protagonisti sono:  un povero,  che ha un nome, Lazzaro; e  un ricco, che non ha un nome. Non ci è  stato indicato il nome di questa ricco, potrebbe essere ciascuno di noi. Poi vi spiego perché.

Quindi abbiamo: un povero, Lazzaro, un ricco; e abbiamo un grande abisso, sia della vita terrena,  sia della vita in cielo. Perché dico questo? Perché  il ricco di questa storia non si rende neanche conto dell’esistenza di questo povero. Per il ricco questo povero non esiste.  E se dico che non ha nome questo ricco, è  perché anche noi molto spesso viviamo così,  anche noi veniamo disturbati da questi poveri, dai mendicanti che incontriamo sulla strada. Ci disturbano, perché disturbano la nostra piccola vita tranquilla che ci siamo creati, ci mettono in difficoltà. E rischiamo, come quel ricco, di creare un abisso. Quante volte passiamo davanti a una persona senza guardarla negli occhi, se ci chiede l’elemosina. Quante volte succede a ciascuno di noi quella grande indifferenza!

Nella storia, poi, Gesù parla della vita di dopo, quando il povero va in paradiso  e il ricco va all’inferno; e anche lì c’è un abisso tra l’uno e l’altro. E allora il ricco dice: “Beh, manda qualcuno ad avvertire i miei fratelli, che li ammonisca severamente perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. E c’è  questa risposta terribile di Gesù, dove viene detto: “Se non ascoltano i profeti, non saranno persuasi nemmeno se uno risorgesse dai morti “. E questo è vero: sono duemila anni che noi celebriamo la morte e la resurrezione di una persona che si chiama Gesù Cristo; e non mi sembra che ci sia tutta questa fede attorno a noi.

Anche a noi succede di fare fatica a credere; dato che la resurrezione è il punto di svolta della nostra vita.  Vuol dire che tutto cambia. Vuol dire che non possiamo vivere questa vita cercando di passar bene quei pochi anni che abbiamo sulla terra, e basta; noi viviamo per il cielo! Quindi il nostro modo di vivere dovrebbe essere totalmente diverso! Ma questo non ci entra facilmente  in testa!

Oggi ci siamo radunati attorno a un bambino, Ettore, i cui genitori stanno chiedendo il Battesimo.  Che cosa significa Battesimo? A noi quel bambino propone, in un cero senso,  la morte e la resurrezione di Cristo. Quello che celebriamo da duemila anni,  loro hanno proprio deciso di dare a questo bambino. Essi celebrano la morte e Resurrezione di Cristo! Quel bambino, dopo il Battesimo,  diventa Cristo, figlio di Dio.

Ma cosa significa essere figlio di Dio? Non significa solo credere e venire a messa la domenica.  Essere figli di Dio vuol dire seguire quello che il Signore ci ha insegnato. Significa  vivere la vita che il Signore ha vissuto qui sulla terra.

Una delle cose più grandi che il Signore ci ha insegnato è  quella di amare. E amare, come sappiamo da Cristo, significa dare la vita per gli altri. Ma per dare la vita per gli altri mi devo rendere conto che esistono! Non posso vivere e lasciarti vivere. La società di oggi ci invita a riempirci di tante cose; e anche di tante immagini, che non sono immagini reali. Nella realtà invece la persona che ho vicino la ignoro, mi è  indifferente. Simone Weil, che è  una filosofa francese, diceva che Il miracolo più grande, il primo miracolo è  accorgersi che l’altro esiste! Perché  il grande rischio è il nostro narcisismo, è vivere solo per noi stessi. Guardate che il nemico più grande della fede forse non è  tanto l’ateismo, quanto il narcisismo: il pensare che esisto solo io. E se guardiamo bene il nostro cuore, tante volte rischiamo proprio di cadere in questo modo di vivere.

E allora questo bambino presentato alla nostra comunità,  che nasce in mezzo a noi, dobbiamo, coi genitori, coi padrini, ma anche come comunità, cercare di accompagnarlo. E san Paolo, nella seconda lettura; ci dice: “Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà,  alla fede, alla carità,  alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia!”. La buona battaglia della fede è  amare. Ma non l’ amare disneyano sentimentale! Amare significa essere attenti all’altro.  

Allora oggi veramente chiediamo che questo bambino possa essere accompagnato a una vita così di fede; e preghiamo anche per ciascuno di noi perché siamo chiamati da questa comunità a essere testimoni di questa fede, nel quartiere e per tutti questi bambini che crescono all’interno della nostra comunità, che ci guardano, che ci vedono, che ci sentono. E guardate che loro sono delle spugne, prendono quello che vedono! E noi, tante volte, lo sappiamo, non siamo alla misura di quello che vorremmo essere.

Allora chiediamo veramente,  fortemente al Signore, in questa messa, di darci la forza di aprire il nostro cuore all’altro che è  accanto a noi.

Come sapete questa domenica è  iniziata la settimana eucaristica, che ci porterà la settimana prossima alla festa; e come sempre abbiamo una testimonianza: perché aprirsi all’altro nella nostra comunità cristiana significa prima di tutto aprirsi a Dio, perché è Dio che ci apre all’altro.  Aprirsi a Dio non vuol dire scordarci dell’altro. Ora ascolteremo la testimonianza di qualcuno che in questi anni ha adorato nella nostra parrocchia.