19 novembre 2017 XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Letture del giorno (Pr 31,10-13.19-20.30-31/ Sal 127 / 1Ts 5,1-63 / Mt 25,14-30)

Eccoci di nuovo con una nuova parabola, queste storielle che Gesù racconta per dirci qualcosa di più profondo della piccola storia.
Gesù, avete sentito, parla di un padrone che aveva tre servi, e prima di andar via per un lungo viaggio affida a loro dei talenti.
I talenti erano una moneta, era come un euro, solo che era molto importante: un talento valeva 6000 denari, e, per farvi capire, un denaro era la somma che riceveva un lavoratore quando lavorava tutto il giorno.
Allora pensate, un talento era 6000 denari, significa che per avere un talento un semplice lavoratore doveva lavorare per 6000 giorni.
Pensate quindi quanto questo padrone aveva lasciato ai suoi servi: parecchio.
Ora cosa succede? Succede che a uno ne dà cinque, a uno ne dà due, a un altro ne dà uno solo. Quello a cui ne ha dati cinque, riesce ad averne altri cinque. Quello che ne aveva due, riesce ad averne altri due. E l’ultimo, invece, cosa fa? Quello che aveva ricevuto un talento solo fa una buca e lo seppellisce.
E perché lo fa? Avete sentito? Perché aveva paura.
E allora io vorrei fermarmi su questo servo malvagio.
Perché malvagio? Perché aveva paura.
E allora vediamo un po’ quello che questa storia dice a noi, alla nostra vita di oggi, cosa ci racconta questa storia?
Vedete, noi, come questi servi, anche noi abbiamo ricevuto dei doni. Il Signore ci ha fatto ricchi di tanti doni, e all’inizio della nostra vita noi iniziamo la vita cercando di capire quali sono questi doni.
Ora cosa succede? Che alcune volte noi siamo delle persone un po’ addormentate, ci lasciamo vivere. Andiamo avanti così, ci trasciniamo, la nostra vita è un vivere giorno per giorno, non è investire i nostri talenti. Non è cercare la ricchezza che abbiamo dentro, non è mettere a profitto quello che siamo, ma è semplicemente un vivere giorno dopo giorno.
Voi siete piccoli, e forse non vi rendete conto di questo, ma siete già ricchi di tante cose. Perché il Signore dall’inizio ci dà dei doni straordinari. Dall’inizio ci fa potenzialmente delle persone straordinarie. Il problema è che rischiamo proprio di mettere questo sotto.
Cosa ha questo servo qua? Ha un preconcetto, sapete cosa significa avere un preconcetto? È quando io ho un’idea di una persona e dico che questa persona è così, decido io che quella persona è così.
E lui ha un’idea ben precisa del suo padrone. Lui dice: “Questo padrone è cattivo, perché là dove non ha seminato vuole raccogliere, è un padrone molto duro, quindi io devo stare attento, ho paura, e allora metto il mio talento nella buca che ho fatto, così non lo perdo, non si sa mai.”
Questa è la sua visione.
Per noi, è un po’ la stessa cosa con Dio: certe volte noi abbiamo un preconcetto di Dio, abbiamo l’idea che Dio è così, e allora noi viviamo con questa immagine di Dio che abbiamo, e per alcuni è un Dio duro, un Dio da cui mi devo nascondere. Non capisco invece che Dio mi ha dato una grande libertà. Dio mi ha dato dei doni e mi ha dato una grande libertà.
Sapete chi sono Adamo ed Eva? Sono i primi uomini della Genesi.
Ad Adamo viene detto questo: “Ama, coltiva la terra, falla fruttificare e moltiplicati.”
All’uomo Dio dall’inizio ha dato tutto. E nella sua libertà l’uomo deve far crescere le cose.
E cosa facciamo, noi, invece? Tante volte ci siamo addormentati.
Vedete quello che ci dice la seconda lettura? San Paolo nella seconda lettura ci dice: “Siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo”.
E invece tante volte ci siamo addormentati, siamo ricchi, siamo grandi, e invece non usiamo i nostri talenti.
Non ci rendiamo conto che questo Dio ci ama così tanto che ci ha dato la libertà di fare cose straordinarie.
Ciascuno di noi potrebbe essere una bomba, e invece niente, ci lasciamo andare così.
Quindi l’obiettivo della nostra vita è questo: all’inizio io devo scoprire qual è il dono che ho ricevuto dal Signore, alla fine della mia vita, o il fine della mia vita, è capire che questo dono lo devo offrire.
Allora vorrei concludere, oggi, con una citazione di R.M. Rilke: “L’essenza dell’amore non è in ciò che è comune, è nel costringere l’altro a diventare qualcosa, a diventare infinitamente tanto, a diventare il meglio di ciò che può diventare”.
Ecco ciò che Dio vuole da ciascuno di noi: diventare il meglio di ciò che può diventare.
Auguriamo a ciascuno di noi, qui, di poter fare così.
Amen

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