Nella seconda lettura che era tratta dalla lettera di san Giovanni apostolo abbiamo letto: “Chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il figlio di Dio?”
Chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il figlio di Dio? Siamo noi questi vincitori del mondo? Dove sono i vincitori del mondo? Forse noi siamo piuttosto come san Tommaso, facciamo fatica a credere.
In questi giorni con un gruppo di sacerdoti, con il nostro Vicario, il vescovo che si occupa dei sacerdoti, abbiamo incontrato il patriarca di Costantinopoli, a Istambul, e poi siamo andati a vedere le chiese dell’apocalisse, quelle che san Giovanni descrive.
Cosa abbiamo visto?
Siamo andati a vedere la seconda Roma, siamo andati a vedere il regno di Bisanzio, siamo andati a vedere chiese meravigliose che sono diventate dei sassi.
Cosa abbiamo visto se non la rovina della Chiesa? Cosa siamo andati a vedere lì? Il passato della Chiesa d’Oriente, o siamo andati a vedere il nostro futuro?
Dove stanno i vincitori del mondo?
Noi dovremmo essere sale della terra e luce del mondo. Dov’è questo sale che dà sapore e dov’è questa luce che illumina il mondo?
Quando l’Impero Romano d’Occidente era in decadenza, le uniche che erano ancora in piedi sono state le comunità cristiane.
La Chiesa, in un certo senso, è stata l’unica istituzione presente nel momento della decadenza.
Erano comunità vive, comunità di credenti, comunità in cui si capiva che c’era qualcosa di diverso
Ma qual è la differenza tra noi, qui, e i pagani, fuori? In questo neo-paganesimo della nostra società, qual è la differenza tra noi e loro? Qual è la differenza nella visione della vita che abbiamo? Qual è il nostro orizzonte, che cos’è che ci fa vivere? Qual è la nostra differenza?
O siamo come Tommaso, ancora non abbiamo toccato, non abbiamo visto, non abbiamo messo la mano, e allora non riusciamo a credere. E allora tutto quello che facciamo è solo per tradizione, perché siamo sempre stati qua, perché abbiamo ricevuto la prima comunione, la cresima, perché la comunità di san Bonaventura è stata la nostra comunità, perché siamo sempre cresciuti qua… Ma veramente Cristo è risorto nella nostra vita?
Sono otto giorni che la Chiesa celebra ogni giorno Pasqua. La liturgia di oggi è come quella di ieri, dell’altro ieri, e come quella di domenica scorsa, l’annuncio è così grande, così forte, così sorprendente che la Chiesa continua in questi giorni a celebrare come se fosse Pasqua.
Ma a noi, la notte di Pasqua, il giorno di Pasqua, è cambiato qualcosa?
Cristo è veramente risorto? E’ risorto per noi?
I discepoli erano nascosti nella loro stanza, lì, chiusa, e Cristo entra, entra lo stesso, senza aprire la porta.
Come passa nel tuo cuore che è chiuso al tuo annuncio, Cristo quando vuole entra, entra lo stesso.
E dice a Tommaso: “Metti, tocca, guarda!”
Quelle cose le sta dicendo a te. Te le sta dicendo non per rimproverarti, ma per dirti che nelle tue sofferenze, in quei dolori, nelle tue cicatrici, Lui entra, Lui le ha vissute, Lui te le fa vedere.
Ha vissuto come te il dolore, è stato come te in mezzo al dolore, basta che tu tocchi, vedi, guardi: Gesù sta lì, Gesù è vivo.
E questo annuncio non si fa così, una religione per credere da soli, ricordatevi la prima lettura che ci racconta la bellezza dell’inizio della prima comunità cristiana: vivevano insieme e insieme camminavano. E’ lì che si fa presente Gesù risorto, è lì che cammina con me, è lì che ti sta vicino.
E’ questa la comunità che noi dobbiamo costruire ogni giorno. Ogni decisione che prendiamo è per fondare la nostra comunità, per camminare con la nostra comunità e per vivere questa nostra fede nella comunità.
Cristo è risorto, amici. E’ Lui che dà sapore alla vita, è Lui che illumina i nostri occhi, i nostri passi, la nostra vita!
E dobbiamo assolutamente trovare il coraggio di andare a vedere, di andare a toccare, perché finché non avremo fatto questo rimarremo il Tommaso che dubita, ma che nel momento in cui vede e in cui tocca, mette la mano, Tommaso dice la professione di fede più bella del Vangelo, l’unica in cui si dice “Mio Signore e mio Dio!”
Mai Gesù, né da Pietro, né da Giovanni viene chiamato “Dio”, è Tommaso, quello che dubita, quello che ha bisogno di toccare, è l’unico che dice: “Mio Signore e mio Dio!”
Questo, ciascuno di noi ha bisogno di dirlo, perché in ciascuno di noi si crei questa intimità, che alcune cose diventino più importanti delle altre nella nostra gerarchia di valori, ciascuno di noi, con Tommaso, è chiamato a dire un giorno: “Mio Signore e mio Dio!”
Ricordiamoci le promesse del nostro battesimo. Noi non siamo più l’Adamo vecchio, noi siamo creature nuove, non lasciamoci rubare questa novità.
Il mondo ci aspetta, il mondo ha bisogno di noi, ha bisogno dei cristiani, in questa decadenza totale. Apriamo gli occhi, vediamo quello che sta succedendo. I cristiani devono rialzare la testa, devono essere loro Luce e Sale. Ma non si potrà mai esserlo se prima non avranno detto: “Mio Signore e mio Dio!”.
Ritroviamo questa possibilità, riprendiamoci quello che è nostro, abbracciamo Cristo, mio Signore e mio Dio. Amen
8 aprile 2018 seconda Domenica di Pasqua
Commento di Don Stefano Cascio