Non è mio
Come sapete un brano del Vangelo può essere interpretato in diverse maniere. La parola di Dio è così ricca che la puoi prendere da diverse angolazioni. Però, per capire cosa vuole la Chiesa in quel momento, per quella festa, per quel giorno, per quella domenica, è bene riprendere le altre letture, la prima e la seconda.
E oggi cosa vediamo nella prima lettura? La storia di Samuele. Anna, sua madre, che non poteva aver figli, e poi per grazia aveva avuto lui, voleva dedicare questo figlio al Signore. E sappiamo quello che sarà Samuele per la storia della salvezza: sarà quello che indicherà chi sarà il re Davide e lo sceglierà. Sarà un profeta.
Allora la prima lettura è la storia di questa madre che capisce che il figlio non gli appartiene. E lo porta subito dal Signore.
Nella seconda lettura, l’avete sentito, ci viene ricordato che siamo figli di Dio e siamo abitati dal suo Spirito. Lo spirito di figli, non di servi.
E l’ultimo brano, ovviamente il Vangelo, ci parla di un episodio particolare: in questa festa della sacra famiglia ci ritroviamo un bambino di dodici anni: non siamo più alla grotta, già è cresciuto Gesù, ha dodici anni, ed è a Gerusalemme. Infatti per la festa di Pasqua ogni anno si andava al tempio. All’epoca sono le carovane che vanno in giro. Insieme a tutte queste persone, si arriva a Gerusalemme, si vive la festa e poi si riparte. E come può succedere, come è già successo forse a voi, quando si è in comitiva, e si è con tanti in un gruppo grosso, si può pensare che il figlio sta con gli altri. Sicuramente i bambini stavano giocando tra di loro. E così i genitori di Gesù vanno via senza rendersi conto che Gesù non c’è.
E lo trovano al tempio, a parlare con gli uomini della legge, con gli scribi, con i sacerdoti; e lui sta lì a conversare. Abbiamo davanti agli occhi Maria e Giuseppe angosciati perché non trovavano il figlio. Lo stavano cercando. E solo dopo tre giorni lo trovano.
Forse questi tre giorni sono importanti, ci ricordano quelli della Resurrezione, non lo so. Quello che so è che Gesù si ritrova lì e dice ai suoi genitori: “ Ma perché vi angosciate? Non sapete che devo occuparmi delle cose di mio Padre?” E loro non capiscono.
E questo cosa dice a noi oggi? Che tante volte nelle nostre famiglie non sappiamo dialogare con l’altro; non sappiamo capirlo, non sappiamo farlo crescere, pensiamo che dobbiamo imporre le nostre decisioni, i nostri pensieri, i nostri progetti sull’altro. Incateniamo i nostri figli ai nostri propri progetti perché consideriamo che noi li abbiamo fatti e a noi appartengono.
Bene, nella storia della salvezza, nella storia dell’uomo non è mai stato così. La Bibbia stessa dice che a un certo momento tuo figlio lascerà la casa del padre e della madre per andarsi a unire con un’altra persona. Mai ci è detto che il figlio è tuo!
Pensate ad Abramo, quando guardavava con amore suo figlio, Dio gli chiede di sacrificarlo. E solo quando fa il passo di stare per sacrificare il figlio, basta questo a Dio: cioè ti ho fatto capire che le cose non ti appartengono. Le persone non ti appartengono.
Le persone non ti appartengono! Noi tante volte abbiamo ridotto i nostri figli a delle cose! Come abbiamo ridotto la persona che pensiamo di amare a una cosa. Quante volte una coppia non funziona, perché non voglio il bene dell’altro, ma solo il mio bene, quando uso l’altro, come succede tante volte nella nostra società in cui usiamo le persone. Perché spesso senza farlo apposta, pensando di fare il bene, noi usiamo nostro figlio e nostra figlia, perché ne abbiamo bisogno! Perché abbiamo bisogno di affetto, vogliamo avere qualcosa di cui abbiamo bisogno noi! Usiamo i nostri figli invece di farli crescere nella libertà dei figli di Dio.
Questo non significa che non dobbiamo dare una direzione! Non significa che non lo devo rimproverare, non sto dicendo che il bambino deve essere abbandonato perché è figlio di Dio! Non è questo, ovviamente. E infatti vedete che Gesù rientra in casa e crescerà in sapienza e obbedienza sotto i suoi genitori naturali, Giuseppe e Maria.
Però è cambiato qualcosa. Questo figlio si deve occupare delle cose di suo Padre. E questo è forte per noi! E’ forte per noi come genitori, come educatori, come padri spirituali! Chi abbiamo davanti lo dobbiamo far crescere. Non siamo noi a dover imporre la nostra volontà. Dobbiamo far crescre la persona a capire qual è la sua vocazione, la sua chiamata: a cosa il Signore lo chiama. Siamo chiamati a conoscere meglio l’altro che ho davanti. Non perché l’ho fatto, lo conosco! Ha il suo carattere, ha il suo modo di pensare, di agire, di capire. E noi tutto questo dobbiamo cercare di capirlo, interrogandolo, portarlo. Dobbiamo portarlo ad ascoltare la parola che per ciascuno il Signore ha.
E non è un compito facile. Ma è questo il bello! Perché quando penso che qualcosa è mio, lo riduco a poco. E’ ben poco, non è una cosa molto ricca perché è solo una mia idea che mi ero messa in testa. Ma quando io sono lì solo per aiutare qualcuno a crescere – e poi farà la sua crescita da solo, questo è un compito meraviglioso. E allora ogni educatore, ogni genitore ha un compito bello, grande, nobile.
Chiediamo oggi alla santa famiglia di aiutarci a questo compito non facile, perché non devo imporre la mia volontà, ma far sì che la volontà del Signore possa agire in quella piccola vita. Amen
30 dicembre 20118 La sacra famiglia
Omelia di Don Stefano Cascio
Trascrizione di Maddalena Kemeny