Che cosa dici di te stesso? Chi sei?
Torniamo a incontrare la figura di Giovanni. Giovanni è la figura che in questo tempo di Avvento ci sta accompagnando. Oggi ci viene chiesto di dire chi è.
Vengono mandati da lui degli ebrei a chiedergli chi è, perché si pensava che lui fosse il Messia, o si pensava che lui fosse un altro profeta. Si parlava molto di Giovanni Battista. Anche un romano come Giuseppe Flavio scrive su di lui. Era un momento di grande attesa (da molto tempo non c’erano stati profeti) e per le autorità ebraiche Giovanni Battista sembrava l’uomo prudenziale, che le avrebbe cautelate da personalità destabilizzanti.
Davanti a tutte queste domande lui dice: “Io non sono il Cristo! Non sono Elia! Non sono il profeta!”. Allora gli chiedono: “Che cosa dici di te stesso?”.
Questa è la domanda importante: “Che cosa dici di te stesso?”. Questa domanda, che è rivolta a Giovanni Battista, viene rivolta a ciascuno di noi: che cosa dici di te stesso? Come ti definisci? Chi sei?
Noi abbiamo sempre bisogno di definirci secondo quello che abbiamo fatto, dicendo i diplomi che abbiamo, pensiamo di dover dire tante cose. Per dire chi siamo dobbiamo sempre aggiungere tante cose! Giovanni Battista fa il contrario: io non sono questo, non sono questo, non sono questo. Giovanni è l’uomo, figlio di sacerdote, che partì per il deserto; è l’uomo che, per definirsi, si spoglia e forse sta facendo capire quello che deve essere il nostro cammino. Al di là di tutto quello che ci mettiamo addosso nella nostra vita, chi siamo veramente agli occhi di Dio?
Il tempo di Avvento è un tempo di preparazione. È un tempo di domande. È un tempo in cui voglio capire chi sono agli occhi di Dio, chi sono io veramente, la mia relazione con lui, il mio legame. Noi diciamo sempre che ci prepariamo alla sua venuta: ma come dobbiamo prepararci? Allora è il momento in cui devo sfrondare tutto quello che mi metto addosso per essere qualcuno agli occhi degli altri. Ma Dio non ha bisogno di questo. “Tu che cosa dici di te stesso?” e Giovanni risponde “Sono una voce”.
Sono una voce: qualcosa che passa. La senti nel momento in cui c’è, ma poi? Sparisce. “Io sono una voce che grida nel deserto”. Una voce che testimonia la luce. Una voce che testimonia il Verbo. La voce non è il Verbo. Il Verbo Creatore che si è incarnato, che si incarna in mezzo a noi, Gesù Cristo: questo è il Verbo. Giovanni è solo la voce, uno strumento, che diventa testimonianza; e che ci fa capire che ciascuno di noi è chiamato a questo: spogliarsi per rimanere solo un testimone, uno strumento di qualcosa di più grande, che non siamo noi, ma che è lui. Dio ha bisogno di questo. Dio ha bisogno di strumenti umili, non di persone che si credono Dio, ha bisogno di persone che sanno testimoniare la presenza di Dio. Ecco quello che è Giovanni: un uomo spogliato per essere strumento d’amore. Ecco quello che siamo chiamati ad essere: semplifichiamo tutto per essere tutto dono di Dio.
Oggi siamo felici, perché il Natale si avvicina. Ma il Natale non ha senso, se non lasciamo spazio a lui, che è il vero attore della nostra vita e di quel momento del Natale. Lo spazio lo dobbiamo lasciare sempre a lui. Lo spazio è per lui. È lui l’attore. È per lui che oggi siamo radunati. È per lui che il 24 sera e il 25 saremo qui: per Gesù, non per noi. Allora lasciamo spazio a lui. Siano chiamati a essere semplici strumenti, una semplice voce, ma che testimonia lui. Amen