2 ottobre XXVII domenica del tempo ordinario

Accresci in noi la fede

Se avessimo voluto scegliere una lettura per l’inizio del nostro anno pastorale e per questa giornata, non avremmo scelto un Vangelo migliore.  Il Signore ci offre sempre un regalo grande: non siamo noi ad aver scelto la data dell’inizio, né siamo andati a vedere quale parola, quale Vangelo ci veniva offerto.

Perché dico così? Perché  io non so se vi siete già fatti la domanda di come si fa a quantificare la fede di una persona. Se io vi chiedo: come si capisce che una persona ha la fede? Forse qualcuno di voi mi risponderebbe: beh, ha la fede, se viene a messa la domenica, e cose simili. Invece sappiamo che non è così facile! Sappiamo che la fede prende tutta la vita! E che non è che la presenza a messa o il numero di rosari che diciamo ci permette di dire: quello è un cristiano e quello no; perché, se poi odia gli altri, se è  maldicente, se porta divisione,  come alcune volte succede anche all’interno delle nostre comunità cristiane, allora è  difficile quantificare la fece di una persona. E certamente, noi, dall’interno, guardando una persona, non possiamo dire: questo sì,  questo  no. Chi siamo noi, per poter giudicare quella persona sulla sua fede?

Però una cosa tutti la possiamo dire, ed è  quello che hanno detto i discepoli  in questo Vangelo, quando chiedono al Signore: “Accresci in noi la fede”. Se noi siamo qui, oggi, non è  che pensiamo di essere bravi, di essere persone che hanno già una fede importante. Noi veniamo qui a supplicare il Signore! Noi siamo delle persone alla ricerca, sempre continuamente in cammino! Noi siamo qui perché abbiamo sentito quest’amore del Signore per noi e lo desideriamo sempre di più, vogliamo sentire la sua parola, lo vogliamo presente in noi attraverso la comunione! Siamo qui oggi perché lo vogliamo celebrare,  lo vogliamo ricordare, perché vogliamo fare memoria di lui. Ecco perché siamo qui oggi: anche noi, anche ciascuno di noi dovrebbe dire: “Accresci in noi la fede“. Noi tutti siamo qui non perché siamo arrivati,  ma perché vogliamo essere sempre in partenza,  vogliamo sempre guardare avanti.  Ed è per questo che, alla fine della messa, ogni volta, noi veniamo mandati in missione.

La fine della messa infatti non vuol dire la fine di un tutto, di un rito, di una chiusura, ma è un mandato, è un invio. Noi siamo sempre degli inviati: siamo inviati in questo mondo, nella nostra famiglia; ma anche semplicemente nella nostra vita.  La fede cristiana è una fede dinamica, cioè una fede che richiede sempre un cammino, su se stessi e con gli altri.  È una fede che non viene vissuta da soli, ma viene vissuta nella comunità,  nella grande famiglia di Dio.

Noi siamo chiamati a essere costruttori di una comunità nuova,  di un mondo nuovo! Ed è questo  che intendo,  perché la nostra vita è piena di speranza,  di voglia di futuro,  di voglia di cambiare! Non è  l’età che fa sì che siamo giovani o vecchi,  è  la fede che abbiamo dentro. Certe volte  io incontro dei giovani che sono più vecchi di persone di ottanta, novant’anni. Pensate alla testimonianza di ieri: Rosanna che parte in missione in Ecuador e in Perù e che ha più di ottant’anni!  Madre, nonna: ma che forza abbiamo visto ieri! Qui davanti abbiamo visto parecchie persone che si commuovevano a vedere questa donna fragile partire così,  con una forza dentro immensa.  E vedo invece alcune volte dei ragazzi che non hanno idea, che non sanno interpretare quello che hanno davanti; che non sanno dare. Loro sono i veri vecchi. E Rosanna è la giovane. La fede ci rende giovani, perché è piena di speranza,  ed è  questo che deve riempire il nostro cuore.

C’è un’altra cosa importante in questo Vangelo,  che mi sembra forse fondamentale per i nostri operatori pastorali,  uomini e donne, giovani e anziani, che si mettono al servizio di questa comunità.  Grazie a loro, le attività che facciamo,  dai più piccoli con il catechismo,  ai più grandi, al sevizio liturgico: tutto quello che vedete in questa parrocchia.  Questo deve essere un invito anche per ciascuno di noi. Tutti noi siamo chiamati a metterci al servizio. In un modo o in un altro lo possiamo fare. Non esitiamo a dare una mano a questa comunità, per crescere,  per  aiutare, per mettersi al servizio di questo  quartiere che ne ha bisogno. Tutti noi possiamo dare un po’  del nostro tempo a questo servizio. Quindi non esitate a venire anche durante la settimana o la domenica, in sagrestia, in segreteria a dire: “Io sono disponibile “ “Io sono così,  posso fare questo”. “Sono a disposizione“. Perché sono sempre pochi quelli che si mettono realmente al servizio di questa grande comunità.

Dicevo: in questo giorno in cui benediremo gli operatori pastorali, viene detta questa cosa: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato,  dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare“. Questa è  un’altra cosa molto importante nel nostro cammino.  Servi inutili non significa che il servizio che hanno fatto non è servito a niente.  Servo inutile perché non cercano la ricompensa,  non si aspettano qualcosa  da quello che hanno fatto. Voi direte: ma questo è difficile! Certo, perché umanamente tutti noi abbiamo bisogno di una risposta,  abbiamo bisogno di un grazie,  abbiamo bisogno di un sorriso,  di un sostegno. Ed è anche giusto che sia cosi.  Ma la vera ricompensa di quello che noi facciamo ce la dobbiamo aspettare dal Signore!  Non sempre i frutti del lavoro pastorale che abbiamo fatto, si vedono. Noi seminiamo. Anche nell’accompagnamento  dei vostri bambini, nell’educazione che date, non sapete cosa e come crescerà, non sapete quello che uscirà fuori da questo bambino.  Ecco, nella nostra azione pastorale è la stessa cosa: noi seminiamo per il Signore,  ma la ricompensa la aspettiamo da lui. E lui un giorno ci ringrazierà forse per quello che abbiamo saputo donare. È  lì l’inutilità di cui parla il Vangelo: non nelle opere, ma nella ricompensa che aspettiamo. 

E questo ci dà anche grande libertà,  perché noi non siamo lì a fare le cose aspettando subito una risposta, come purtroppo vuole la società di oggi, dove tutto deve sempre arrivare subito. Noi invece lavoriamo per l’eternità!  Lavoriamo per la crescita, lavoriamo per  qualcosa che può fruttare  anche  in un tempo molto più lungo, di cui forse noi non vedremo i frutti. Ma noi siamo chiamati lì, a continuare sempre a seminare.  E, come dicevo, questo ci dà una grande libertà,  perché non siamo in attesa di qualcosa,  ma lasciamo crescere,  lasciamo che le cose vadano avanti. 

Allora,  ecco, oggi, due cose importanti: la prima questa fede. Se noi siamo qui, è  perché camminiamo,  ciascuno al suo ritmo, chi più,  chi meno. Qualcuno qui è  già  stanco, qualcuno è  lontano, ma siamo insieme come una famiglia,  una comunità che vuole invitarci a cena. Noi siamo sui banchi, uno accanto all’altro, ed è  significativo perché   è  come se nella vita prendiamo il braccio dell’altro e camminiamo insieme. Davanti abbiamo il Signore che ci guida; e noi siamo dietro per aiutarci per camminare dietro a lui. La vera comunità è   così,  questo senso di famiglia che deve esserci sempre di più.  Dobbiamo incontrarci l’un l’altra,  conoscerci. Tante volte siamo vicino a persone che neanche salutiamo: e questo non va bene.  Dovremmo veramente  essere con lo spirito fraterno di voler incontrare l’altro.  Non siamo qui come in un teatro  in cui vengo a vedere uno spettacolo e, finito lo spettacolo,  me ne vado. Qui siamo fratelli che pregano insieme, e che hanno il desiderio di veder crescere la loro fede, che vogliono camminare insieme.  E nei momenti difficili si aiutano,  e nei momenti di gioia,  gioiscono insieme.  È quello che ciascuno di noi deve costruire. Non solo il parroco,  non solo i sacerdoti: ciascuno di noi è chiamato a costruire questa comunità, perché siamo le pietre vive.

E la seconda cosa è il servizio: mattiamoci al servizio l’uno dell’altro. In nome di Cristo.  Diamoci una mano, mettiamoci veramente  al servizio di questa comunità.  Sapete quanto il quartiere, quanto la nostra Italia  ha bisogno anche di ciascuno di noi.  Diamo questa possibilità. Lo so che siamo tutti pieni di cose da fare, perché chi si mette qui al servizio  concretamente, ha le stesse problematiche, le stesse fatiche che avete voi; non è che sono extraterrestri che vengono qua! Ma questi operatori pastorali hanno fatto il paso in più: fatelo anche voi.

Allora sull’altare mettiamo la nostra vita,  sull’altare mettiamo questo desiderio che abbiamo di vedere in ciascuno di noi accrescere la fede. Amen

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