Il sole dell’ottavo giorno
Questa notte abbiamo celebrato la Pasqua qui. Le cose belle succedono sempre di notte con Gesù… anche a Natale la stessa cosa. E vedete che qui, se avete ascoltato bene, all’inizio del Vangelo, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattina quando era ancora buio. In quel buio: il buio del nostro cuore, il buio delle nostre schiavitù, il buio di tutto quello che ci impedisce di amare come dovremmo amare; e Gesù spacca, Gesù risorge, in quelle tenebre Gesù diventa luce e illumina i luoghi oscuri del nostro cuore, della nostra anima. E sappiamo quanto questo è bello! Quante volte non facciamo il bene che vorremmo fare, e facciamo il male invece che non vorremmo fare. Quante volte facciamo così fatica a fare quel gesto di generosità che ci renderebbe così felici! Quante volte facciamo fatica a donarci come vorremmo donarci. Lo sappiamo che questa è la nostra gioia, lo sappiamo che questo ci porta felicità, perché l’abbiamo già vissuto. Sappiamo che amare ci fa bene e odiare ci fa male. Sembra una cosa così facile; e invece! E invece facciamo fatica. Facciamo proprio fatica, perché abbiamo questa tendenza a voler conservare, a voler proteggerci, a voler tenere le cose, tanto che diventiamo egoisti, volendo pensare prima di tutto a noi stessi, volendo mettere al centro della nostra vita sempre noi! Ma sopra quella croce Cristo ci ha insegnato il contrario!
In questi giorni santi, in cui il tempo si è rallentato, noi, passo dopo passo, siamo stati con Cristo! Passo dopo passo abbiamo voluto sentire e vedere quello che significava amare, sentire e vedere quello che significava servire, quello che significava donarsi. Passo dopo passo abbiamo vissuto con lui questi momenti forti!
Ma mancava qualcosa. Non poteva finire tutto con il dolore, con la sofferenza della croce. Nell’ora più buia Maria di Magdala va; in quel buio che è lo stesso della vita, lei va in quella tomba; e la trova vuota.
Allora corre, corre dai suoi discepoli e va a dire quello che ha visto! E anche loro si mettono a correre. Perché la vita cristiana non è una vita immobile! Non è un immobilismo la vita cristiana, ma è una vita in cammino, anzi, una vita in cui io corro! Verso che cosa corro, verso la tomba vuota? Verso il Cristo risorto, è lì
che io corro, è lì il mio obiettivo, la mia gioia, la mia destinazione! Il senso della mia vita è lì ! È lì che io corro; e corro! E con Pietro e con Giovanni abbasso la testa. Pietro entra, vede. Poi, soprattutto, Giovanni: vede e capisce.
E anche noi siamo chiamati nella nostra vita a vedere e a capire quello che il Signore risorto fa, ogni giorno, nella nostra vita. Quante volte non ci rendiamo conto della sua presenza! Perché non è che noi facciamo semplicemente memoria di uno che è vissuto duemila anni ifa: Gesù Cristo è vivo, è vivente, è presente, è quello che ci sta accanto.
Durante la notte abbiamo letto tutte queste letture dell’Antico Testamento, a partire dalla Genesi;. dalla creazione siamo arrivati fino alla redenzione, dall’inizio delle nostre origini siamo arrivati fino a alla Resurrezione, alla vita nuova; e abbiamo scoperto la fedeltà di Dio nella vita di questo popolo, di questa umanità.
E attraverso questo popolo e questa umanità, noi scopriamo la nostra vita. Siamo chiamati anche noi a costruire questa relazione di fiducia: dal Battesimo siamo figli di Dio, con quella relazione tra padre e figlio che è una relazione di amore, di fedeltà, di fiducia. Poi, crescendo, noi uomini spesso perdiamo questa fiducia in Dio. È così bella la fiducia dei bambini! E noi la perdiamo! La perdiamo perché vogliamo metterci noi al centro: pensiamo che sia impossibile che Dio possa reggere, che possa guidare la mia vita! E allora ci mettiamo a dire: no, ci sono io! Ma Cristo è risorto, dobbiamo lasciare le cose vecchie, dobbiamo abbandonare tutto quello che è passato, perché in Cristo è la vita nuova! Avete sentito nella seconda lettura: “Noi siamo chiamati a essere il lievito che fa fermentare tutta la pasta. Via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi! Infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolo“. Questo ci dice san Paolo, ricordandoci che è finita la vita vecchia; la vita nuova è quella che siano chiamati a costruire, a scoprire. E questo ci fa cambiare prospettiva.
Vorrei leggervi quest’anno un passo del diario di Etty Hillesum, del suo diario del 1941 – 1943, dove lei scrive: “Ma cosa credete, che io non veda il filo spinato, non veda i forni, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e questo spicchio di cielo ce l’ho nel cuore. E in questo spicchio di cielo ché ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così“. Etty testimonia lo spiraglio vertiginoso di uno sguardo diverso, quando esprime questo pensiero. Non è quello che abita il cuore di ogni cristiano? Non è quello che abbiamo sperimentato in questi giorni santi? La bellezza di cui parla Etty non è nel volto di Cristo sfigurato dal dolore e dalla sofferenza? E la libertà non è nel dono di sé, salendo volontariamente sulla croce? La Resurrezione cambia la nostra prospettiva. L’amore dimostrato diventa il sole di questo spicchio di cielo, il sole dell’ottavo giorno. Amen