Omelia del 23 marzo 2025 Tempo Ordinario

Lc 13,1-9

La prima lettura, che avete sentito, è quella del libro dell’Esodo, che racconta una storia che conoscete molto bene, perché l’avete sentita spesso, quella del Roveto Ardente, questo Roveto che brucia, senza consumarsi.  Mosè guarda questo e dice: “Voglio avvicinarmi a vedere questo spettacolo” e quando si avvicina, viene detto, sente la voce di Dio che gli dice: “stop, prima togliti i sandali, perché questa è una terra santa” e Mosè deve togliere i sandali per avvicinarsi.  Poi abbiamo il Vangelo dove Gesù racconta alcune storie: la storia di un massacro, fatto da Pilato; la storia di una Torre che cade e uccide la gente e come spesso succede, anche alcune volte oggi, la gente dice: Questi avranno fatto qualcosa, perchè questo  gli accade”, c’e chi quando c’era il covid raccontava la stessa  cosa. Gesù dice no, non è che loro sono più peccatori di noi, però conclude dicendo: “convertitevi”. Poi Gesù racconta la storia del fico, avete sentito che non porta frutta e il padrone di questo terreno, vuole tagliarlo, il giardiniere dice no, aspetta ancora che ci lavoro sopra e vediamo se porterà frutto l’anno prossimo, poi in caso lo taglieremo.

Qual è il nesso, qual è il legame tra tutte queste storie?  Vedete noi siamo un po’ come Mosè, noi alcune volte rischiamo di vivere la fede come la vive Mosè, cioè da spettatori. Mosè dice vado a vedere questo spettacolo e noi rischiamo di vivere la nostra fede così, da spettatori, guardiamo. Cosa chiede Dio a Mosè? Di fare un atto di umiltà, di fare un atto di verità, perché davanti a Dio non puoi non avere quest’atto, non puoi non abbassarti a riconoscere la sua grandezza, non puoi non essere vero davanti a Lui e quando Mosè si avvicina, Dio gli dice: “Io ho sentito il grido del mio popolo, ho sentito la sua sofferenza”. La fede non è altro, l’abbiamo detto tante volte, l’amore e l’amore per Dio ci porta a vivere l’amore anche con gli altri e amare Dio e amare gli altri significa avere compassione, cioè vivere la sofferenza che vive l’altro, vivere la sua passione con sé. Questo è l’amore.

Gesù, quante volte viene detto anche nella scrittura, che ha compassione. Quante volte Gesù piange con chi piange, ricordate del suo dolore anche per il suo amico Lazaro.

La fede è amare e amare significa vivere con l’altro. La fede quindi ci chiede di compatire, ci chiede di stare con lui, ci chiede di sporcarci le mani, ci chiede di essere lì, non da spettatori, ma di vivere. Infatti, Dio si è incarnato, Dio è venuto su questa terra, Dio ha sofferto attraverso Gesù. Dio c’è stato qua in mezzo, Dio è stato crocifisso, non siamo che spettatori, e nel momento in cui Mosè si abbassa, nel momento in cui Mosè fa verità su sé stesso, Dio lo usa come strumento, per liberare il suo popolo. Quel balbuziente va a proclamare la libertà a questi uomini e porta via quel popolo della schiavitù d’Egitto, e questa anche la nostra chiamata, Dio ha bisogno di noi.

Nel Vangelo ci viene detto che il fico non porta frutto, ma questo forse vale per noi? Noi portiamo frutto? Lo portiamo personalmente questo frutto? Lo portiamo come comunità questo frutto? Lo portiamo come gruppo questo frutto?  Quanto frutto noi portiamo?  Perché   la nostra vita non è solo qualità, vivere in maniera individualista la nostra fede, credere che basta il poco che faccio, le mie tre preghierine per dire questo mi fa cristiano.
Il Signore ci chiede di coinvolgerci e di portare frutto, ma ha pazienza con noi, ha pazienza, perché proprio come quel giardiniere dice aspetta ancora un pò e ci lavora.  Questo è il nostro cammino di conversione e questo è il cammino della quaresima, che diventa il cammino simbolico di tutto il nostro cammino come cristiani. Noi siamo chiamati a togliere i sandali, siamo chiamati a quella umiltà, che tante volte ci manca, ci richiede questo cammino di verità, per togliere la maschera che abbiamo davanti al Signore e davanti ai nostri fratelli. Ci chiede di coinvolgerci, questo è il cammino del cristiano, il cammino di una vita, questa è la conversione che richiede il Signore nel Vangelo.


Nella seconda lettura, quella di San Paolo dei Corinzi, si conclude con queste parole: “Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere”, attenti a non essere troppo sicuri di noi stessi e della nostra fede. Dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che abbiamo ancora bisogno di camminare, ancora di coinvolgersi ancora di amare, ma soprattutto ancora sentire quell’amore per noi, perché come abbiamo detto tante volte questa è la più grande nostra conversione, quella di riconoscere che siamo amati ed è questo amore che poi viviamo con l’altro, con passione, con gioia di testimoniare, di dare, di vivere non rinchiusi nel nostro piccolo mondo, ma aperto. Quel grande mondo che aspetta solo la nostra testimonianza. Non guardiamo il mondo solo come un nemico e come qualcosa di buio e di scuro e di brutto, ma guardiamolo come un’occasione per testimoniare la nostra fede, per raccontare il bello, per vivere l’amore, per coinvolgersi e non rimanere spettatori di qualcosa che rimane lì, perché ha bisogno di questo mondo e questo Signore ha bisogno di noi, perché noi siamo chiamati ad essere strumenti nelle sue mani e dobbiamo portare frutto.
Questo è l’obiettivo della nostra vita, essere strumenti nelle mani di Dio e portare  frutti di amore. Amen

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