
Il sogno di san Giuseppe di Domenico Guidi – Santa Maria della Vittoria Roma
Durante questo tempo di quaresima, ci fermiamo un attimo in questa solennità di San Giuseppe. Vedete che non siamo più vestiti di viola, ma di bianco. Abbiamo cantato il Gloria, che è da un pò che non cantiamo più, proprio per festeggiare questo santo. Un santo silenzioso Giuseppe, non si sente mai la sua voce.
Ci ritroviamo davanti a questo Vangelo. Un Vangelo che dice tanto anche a ciascuno di noi. il Vangelo, in un certo senso, è l’annunciazione, ma quella dalla parte di Giuseppe, e non quello che conosciamo bene.
Sappiamo tutte le storia. Giuseppe e Maria erano promessi sposi e non semplicemente fidanzati, come possiamo immaginare noi oggi. I promessi sposi all’epoca erano, diciamo, il primo capitolo del matrimonio. Era qualcosa di ufficiale, di serio, di importante, come diciamo un fidanzamento ufficiale. Qui le famiglie si sono già radunate e capite quindi lo sgomento di quest’uomo, quando Maria gli racconta.
Giuseppe, ci dice il Vangelo, era un uomo giusto e ha voluto ripudiarla non in pubblico, ma in privato, in segreto, perché sapeva che ripudiandola pubblicamente, come in tanti paesi ancora oggi, la donna poteva essere lapidata. Moriva criticata da tutti. Ci dice la scrittura, mentre pensava questo, lo possiamo immaginare nella sua casa, rimuginando tutto quello che sta succedendo, vedendo che il suo progetto di vita è completamente caduto, ha questa visione, questo sogno e gli viene detto di non temere di prendere come sposa Maria.
Vedete, nella nostra vita è simile. Noi crediamo che i nostri figli ci appartengano, ma i nostri figli sono un dono e devono essere sempre restare come tale.
Sappiamo che i figli non sono proprietà nostra. Sappiamo che i nostri figli un giorno usciranno dal nido familiare e andranno a fondare la loro famiglia a prendere altre famiglie di vita. Sappiamo quindi che quello che abbiamo e cresciamo è veramente un dono.
Sappiamo che non potremo decidere tutto di questa vita. Possiamo nei primi anni decidere certe cose, ma poi crescendo, ci è chiesto non di decidere per la persona, ma di accompagnare questa crescita. Il buon educatore non è quello che fa il padrone, il padre è quello che accompagna nella crescita. Sappiamo che sapere accompagnare non è così facile. Ci viene più facile mettersi al posto dell’altro e non cercarlo di accompagnare e lasciare che l’altro possa camminare da solo e questa è l’arte nobile del padre e della madre di famiglia, che devono sapere entrare senza mettersi al posto dell’altro. Poi capire che ogni figlio è diverso e il mio modo di educare l’uno sarà diverso dall’educare l’altro, proprio come fa anche il nostro Padre del cielo. Non siamo tutti uguali. Ecco perché non dobbiamo giudicare l’altro dall’esterno, come tante volte facciamo, per ognuno è diverso.
Giuseppe aveva un progetto di vita molto chiaro, si sposava con Maria e fondava la sua famiglia e in un attimo tutto cambia e nello stesso tempo tutto rimane. Tutto cambia perché quel figlio non è esattamente il suo, tutto rimane perché alla fine Maria diventerà sua moglie e Gesù suo figlio, ma con una perspettiva completamente diversa. Tante volte è così anche nella nostra vita. Noi immaginiamo una cosa per i nostri figli e poi succede qualcosa altro, o forse abbiamo noi un progetto personale ben preciso e poi le cose vanno diversamente.
Noi o ci arrocchiamo a rifiutare quello che è questo progetto nuovo, o cerchiamo di vedere quello che il Signore vuole da noi. Giuseppe quella notte faceva fatica evidentemente a dormire, ma poi l’angelo gli dice di non temere, di non aver paura, questa è la chiamata di ciascuno, questo è quello che viene ripetuto tante volte nel Vangelo: Non temere, non aver paura.
Quello che noi conosciamo come le prime parole di Giovanni Paolo II non sono altro che un ripetere quello che il Vangelo diceva.
Noi non siamo schiavi delle nostre paure. Noi ricerchiamo la volontà di Dio nell’avversità, nelle difficoltà, nei sogni che forse non vengono come noi vorremmo e il Signore parla lì, parla in quel momento.
Giuseppe accetta questo dono che è Gesù. Accetta questo nuovo progetto. Accetta questo nuovo progetto di famiglia, che è un po’ simile a quello che avrebbe voluto e che è completamente diverso, lui si realizza in quel nuovo progetto. Lui trova un nuovo senso alla sua vita e così è per ciascuno di noi.
Alcune volte non pensavamo di avere figli, altre volte pensavamo di averne tanti e non riusciamo ad averne più di uno, altre volte non riusciamo ad averli, ma li adottiamo e così via. La nostra vita è molto diversa da quella che nella nostra piccola mente possiamo immaginare. Però, quando accettiamo il nuovo progetto di vita su di noi, quando accettiamo tutto cambia e tutto diventa più bello, se viene accettato da noi ed è suo, se capiamo che quello può essere un dono, una grazia grande per noi.
Allora oggi noi celebriamo tutti i papà, particolarmente il nostro o quello che siamo come padre. Ringraziamo il Signore per il dono che ci ha fatto della paternità. Ringraziamo e chiediamo di continuare ad aprire la mente e il cuore con questo progetto di vita, perché non si ferma solo al procreare, ma la paternità è qualcosa che accompagna tutta una vita le creature che abbiamo vicino. Essere padre non è solo per l’infanzia, ma è per tutta la vita e chiediamo quindi al Signore di aprire questo cuore, perché abbiamo bisogno di lui, perché non è solo sulle nostre forze, perché è un dono grande che non possiamo mettere da parte.
Destatosi dal sonno Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo. Amen